FILOSOFIA DELLA MEDICINA
Sembra incredibile come agli studi infiniti cui sono sottoposti gli studenti delle materie scientifiche, non venga posto come identità per una partenza professionale anche una conoscenza etico-filosofica: cioè come agire in questo caso come e perché curare. Ogni neolaureato si modella in base al tirocinio che svolge fuori dell’ambito universitario o tutt’al più, ricalca il “timore della corsia” che gli viene impresso nel periodo post-laurea o nella specialità. Ma le considerazioni sull’etica, l’atteggiamento, le scelte terapeutiche e i fini preposti dalla cura, non costituiscono tema per nessun percorso accademico. Da qui si evidenzia la carenza sul piano professionale di una istanza fondamentale per svolgere un compito sociale così colmo di perplessità umane e scientifiche come la professione medica.
L’impreparazione nasce dalla mancanza di un rapporto di equilibrio tra le conoscenze tecnico scientifiche e quelle sociali-antropologiche, questo divario impedisce la unificazione delle conoscenze e quindi della sintesi.
Ilya Prigogine afferma che lo studio umanistico deve accompagnare lo studio scientifico di pari passo, per non perdere il rapporto tra il “come” curare, il “dove” e alla fine “chi” curare e non perdere di vista l’obbiettivo “uomo”. Pensiamo così al nostro curriculum e ci rendiamo conto di non aver mai affrontato un approccio critico alla scienza: la sua storia, gli errori sistematici e il limite del metodo. Ma già dalla storia gli insegnamenti chiari di come la scienza sia proceduta attraverso l’eresia, l’inquisizione, l’oppressione, e la mistificazione, indica che il processo evolutivo del pensiero scientifico sia avvenuto per rivoluzioni cosiddette “copernicane” cioè antiteticamente opposte alle precedenti (Kuhn, ’70).
Beneficiando quindi del dubbio, la nostra spazio-temporalità può e deve essere suscettibile di critica e ciò comporta la nascita di un dialogo riguardo le esposizioni di semplici osservazioni ancor prima della critica stessa. L’incertezza dell’uomo moderno viene riassunta nel principio di indeterminazione di Heinsenberg, riguardo l’esatta posizione dell’elettrone rispetto al nucleo. Egli richiama come tale principio sia estensibile a tutta la scienza.
In definitiva la scienza moderna, nata come “analisi dei fatti”, è in realtà il tentativo razionale di porre risposte alla incertezza dell’esistenza, la ritualizzazione, cioè come coazione a ripetere, è porre un limite noto all’ignoto. La teologia pone quesiti filosofici all’esistenza e le risposte sono sempre portatrici di un dubbio che si rinnova come in un ologramma ma poiché essa parte dalla incertezza dell’uomo proiettato verso l’assolutismo divino, riconduce il dialogo ad una dimensione fideistica. La scienza vuole di più, e promette di più, ma l’errore più grossolano è la sacralizzazione della casualità, posta come condizione antitetica a quella fideistica, e poiché originata nella prima come sfida alla conoscenza, e nella seconda, cioè la casualità, come dimostrazione oggettiva e iperrazionale che gli eventi non dimostrabili siano semplici frutto del caso.
Il caso è una eccessiva richiesta di libertà, analogamente rappresentata nel teologismo dal libero arbitrio. Il mondo non accademico deluso dalla risposta scientifica, si avvicina per suo sentire, alla mistificazione del caso puro, ricollocandolo in quel significato “che tutte le cose hanno”, fino a che luce non le illumini, o restando nel mistero della fede, che pare un limite del passato. In realtà come in tutte le istanze, la scienza necessità per sopravvivere, di quella componente irrazionale che genera attraverso la sensibilità dei geni e l’intuizione, le nuove ipotesi che la rinvigoriscono.
Nella scienza esistono perciò innovatori, conservatori e speculatori. Gli innovatori sono quelli che generano parossismi di certezza, per loro non esiste incertezza, anche qualora vi sia la loro convinzione supera ogni difficoltà, anche quella della incomprensione. Gran parte dei geni sono incompresi e lo sono tanto più quanto il loro pensiero è universale, sfociante nella metafisica. I conservatori sono quello che creano il blocco alla progressione, sono i garanti della tradizione, i metodici. Più insicuri, si avvalgono della riproducibilità del metodo per porre il limite della veridicità di un paradigma: la loro giustificazione è quella di porre la concretezza e il pragmatismo al servizio dell’uomo, ma la loro sfiducia è causa di contrasto alla visione artistica ove la componente creativa sfugge il controllo dell’operato. Poiché attraverso l’applicazione del metodo e la quantificazione della riproducibilità sono anche i detentori del potere e del presunto sapere e per il timore di inficiare i risultati ottenuti, sono riluttanti ad aprirsi ad un dialogo epistemologicamente corretto. Vi sono poi gli speculatori, che sostituiscono il piacere col potere e fanno mezzo personale di ciò che di buono proviene dalla scienza stessa. Questi ultimi sono i fautori dei ritardi storici della scienza a servizio dell’uomo, monopolizzano o strumentalizzano con la politica e l’economia ciò che dovrebbe essere socialmente condiviso.
L’uomo come scopritore ha due possibilità intrinseche: o promuovere la ricerca pura in base ad una volontà di conoscenza o imitare modelli precostituiti come quelli naturali.
Le scoperte cosiddette “casuali” sono in realtà i programmi che solo una libertà di osservazione permette di produrre, ogni scoperta è in realtà semplice: lo dimostra come ogni scopritore si meravigli di come altri non abbiano fatto la stessa osservazione in virtù di questa semplicità geniale che riporta il genio in una condizione di sobrietà e purezza per giungere al postulato.
Il metodo scientifico in definitiva altro non è che il tentativo dell’uomo moderno di sostituire l’incertezza della propria esistenza caduca ed angosciante con fenomeni che possono ripetersi all’infinito.
Come è vissuto l’uomo senza scienza? Ma non è mai vissuto senza Dio, qual è la differenza tra sviluppo e progresso? Benessere significa necessariamente “lo sforzo compiuto per adattarsi” quando, se diminuissimo i fattori di disadattamento saremmo nel benessere? Da questa serie di domande si intravede come la rigidità del modello scientifico essendo materia umana sia suscettibile di critica, e per questo come ogni apertura al dialogo parta dall’autocritica. Quindi un modello cosiddetto scientifico, perché parte da fenomeni riproducibili è criticabile che i fenomeni siano direttamente riproducibili in relazione alla standardizzazione delle condizioni: maggiori sono le condizioni di standardizzabilità, maggiori sono le possibilità di riproducibilità del fenomeno. Nella scienza però sono contemplati anche fenomeni che per loro natura a verificarsi, sono considerati “aneddotici”, per questo oggetto di osservazione ma scarsamente riproducibili, perché le quantità di condizioni per il verificarsi del fenomeno stesso siano difficilmente cumulabili, da cui si evidenzia come lo stesso rapporto tra “riproducibilità” di un fenomeno e “quantità” di condizioni caratterizzi la percentuale di riproducibilità stessa.
Partendo quindi dalla osservazione che i fenomeni riguardanti le specie animali o i modelli biologici fino all’uomo, risentano di condizioni peculiari riferibili alla unicità di ogni essere vivente, è evidente come l’individualità emerga come fattore contrario alla standardizzazione e per questo contraria all’applicazione di un modello scientifico dimostrativo, riproducibile a segnale e per questo non o difficilmente sperimentabile, ecco il limite.
Il timore che la scienza stessa fosse superata dal dubbio umano della irriproducibilità ha fatto nascere la EMB, cioè la medicina basata sulle evidenze, cioè sulle ovvietà, a questo punto, il limite tra evidenza e ovvietà è proprio il numero di volte che un fenomeno è osservato.
(Howietown University)
Il profilo di ogni fenomeno osservabile può essere così descritto:
a) UNICO ideativo;
b) RARO intuitivo;
c) EVIDENTE induttivo;
d) OVVIO deduttivo.
La scienza si avvale dei metodi induttivi e deduttivi per rappresentarsi, mentre l’osservazione rara e unica sfocia nella metafisica. L’olismo, inteso in questo caso il limite biologico al paradigma scientifico, pone quindi un scontro nodale tra la necessita di un linguaggio comune attraverso la dimostrabilità. Ma dall’altro permette all’individuo di riemergere in quella unicità, che rappresenta il limite alla totalizzazione e genera la possibilità dualistica dello scambio. Bergson affermò come fosse più «dipendente la ragione dall’istinto, che quest’ultimo dalla ragione potesse esserne indipendente». Quindi le certezze dei promulgatori del metodo scientifico, sono profondamente criticabili nella stessa misura con cui essi ciò che non considerano scientifico. Le più bizzarre e efferate interpretazioni, nascondono un fondo di verità comunque perché sono frutto della sensibilità umana, dell’intuizione, di ciò che viene magistralmente colto nell’etere cosmico dell’anima di tutte le cose che ci circondano.
Per criticare la scienza è sufficiente studiarne la storia, e vedrete come i passaggi e le nuove teorie abbiano un livello di coerenza spazio-temporale e che se ragionassimo con la stessa misura e ci ponessimo nel futuro come criticheremmo il nostro modello che consideriamo arrivato solo perché essere nel nostro tempo? Da ciò si deduce il limite antropocentrico e definirei cronocentrico, come il tempo nostro sia insuperabile come che non esistesse un futuro progressista e rinnovatore. Da tutto ciò occorre quindi desumere, che si possano comunque accettare sul piano della discussione le ipotesi più disparate riguardo la giusta filosofia della medicina, saranno poi i fini comuni a porre e centrare l’obbiettivo sullo stesso, come il benessere, la salute la sopravvivenza, il rispetto, il rapporto medico paziente, la straordinarietà delle terapie, il consenso informato, ecc… Ma prima occorre delineare il diritto alle cure e il diritto alla conoscenza, togliendo ogni alone di mistificazione, sia da un lato che dall’altro che vedremo in seguito esserci dichiarato o meno in tutte le discipline.
Dopo questa dissertazione sul metodo scientifico passiamo a considerare l’etica medica, cioè la qualità dell’agire in senso medico. Ponendo come fine la guarigione del malato, le strategie per raggiungere tale obbiettivo possono essere infinite come infinite possono essere le malattie stesse poiché ognuna recante la unicità del conflitto soggettivo causa di disagio. La distinzione tra cura e guarigione è sostanziale, la prima si pone come obbiettivo l’allevìo dei sintomi la seconda la scomparsa dei sintomi e il ripristino delle funzioni. Quindi il concetto di curabilità e incurabilità della malattia. Lo stesso concetto di incurabilità è originato dalla medicina soppressiva, parliamo di radio e chemioterapia ad esempio.
David Satanassi, Medico Veterinario, diplomato in Omeopatia Classica, diplomato in Bioetica.
MEDICO VETERINARIO (BO '91) - Diplomato in Omeopatia Classica presso Società Medica di Bioterapie (RM) - Diploma Master Bioetica presso Università Pontificia Regina Apostulorum (RM) - Corsi in Medicina Biologica-Nuova Medicina presso Università Popolare (MI). - Copyright © 2011 -
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